Tra fallimento scolastico e povertà: non è un’Italia per minori

Save The Children dipinge un quadro eloquente, dominato dalla sperequazione sociale. E aggravato dalla carenza d’investimenti nell’istruzione. Soprattutto nelle zone maggiormente disagiate.

L’Italia non è un Paese per bambini. E a dirlo non sono solo i dati Istat sulla denatalità. Lo fotografa anche Save the Children, nel suo rapporto Nuotare contro corrente, secondo cui i ragazzi che vivono in famiglie disagiate hanno quasi cinque volte in più la probabilità di non superare il livello minimo di competenze scolastiche rispetto ai loro coetanei benestanti. In tutto questo il ruolo dello Stato ha un peso determinante: è sufficiente aver frequentato un asilo nido o una scuola ricca di attività extracurriculari per emanciparsi dal proprio disagio sociale di provenienza. Lo studio, elaborato in collaborazione con l’Università di Tor Vergata, non è quindi una semplice istantanea, ma una sorta di programma di governo che il prossimo esecutivo dovrebbe seguire se volesse investire sul futuro della nazione.

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1. Il legame tra povertà economica e povertà culturale

In Italia, 1,3 milioni di bambini – il 12,5% – vivono in condizioni di povertà assoluta e hanno una maggiore probabilità di fallimento scolastico. Secondo l’indagine “Pisa”, su un totale di quasi mezzo milione di alunni di 15 anni, oltre 100 mila versano in un altro tipo di povertà, quella “educativa cognitiva”, ovvero non raggiungono i livelli minimi di competenze in matematica (il 23%) e in lettura (21%). Non sono cioè in grado di utilizzare formule matematiche e dati per descrivere e comprendere la realtà che li circonda o non riescono ad interpretare correttamente il significato di un testo appena letto. A riprova del fatto che l’ascensore sociale si è rotto, le due povertà – economica e culturale – spesso coincidono: nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di 15enni che vivono in famiglie di basso livello socio-economico e culturale e sembrano destinati a seguire le orme dei genitori.

2. Sperequazione sociale tra le più alte in Europa

«In Italia la disuguaglianza è così marcata che i minori che vivono in famiglie più svantaggiate ottengono risultati ai test Pisa, in media, tra i più bassi in Europa», si legge nel rapporto di Save the Children, «mentre i loro coetanei che vivono in famiglie con i livelli socio-economici e culturali più elevati si trovano allo stesso livello degli studenti che vivono nei Paesi tra i top perfomer a livello mondiale, quali Singapore e Giappone».

3. L’importanza degli investimenti dell’istruzione

Il tema è complesso, la soluzione tuttavia è semplice, almeno sulla carta: per cambiare la situazione bisogna investire nell’istruzione, soprattutto nelle zone maggiormente disagiate. I minori di 15 anni che appartengono a quella fetta di popolazione più svantaggiata, ma che hanno frequentato un nido o un servizio per l’infanzia, hanno il 39% di probabilità in più di emanciparsi dalla condizione di partenza di disagio. Le probabilità di evadere dalla situazione negativa superano il 100% per quegli studenti svantaggiati che frequentano scuole dove non ci sono particolari problemi di disciplina. Risultano pari all’87% in istituti nei quali la relazione tra gli insegnanti e gli alunni è positiva e sono presenti professori che interagiscono regolarmente con i genitori sui progressi dei ragazzi a scuola. Infine, raggiungono la considerevole quota del 127% se la scuola offre attività extra incentrate sulla musica e le arti.

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4. Il fenomeno dei minorenni “resilienti”

Questo scenario alquanto fosco è però ravvivato dalla presenza dei “resilienti”: minorenni che, pur vivendo in situazioni di disagio, non si lasciano piegare dall’ambiente che li circonda e provano ugualmente a competere con i figli di famiglie più agiate. In Italia, nel 2015, su un totale di circa 130 mila ragazzini in condizione di disagio i resilienti sono stati 34 mila. Tra questi, quasi 5 mila (3,79%) raggiungono i livelli di competenze più alte in matematica e circa 1.000 sono considerati “top performer” (0,75%). In lettura, la percentuale dei migliori si riduce allo 0,09% (120 alunni).

5. La zavorra di chi vive in condizioni disagiate

Se, da un lato, questo dato può essere confortante, perché testimonia che la povertà educativa non è irreversibile, dall’altro – si sottolinea nel rapporto – «la percentuale di minori, tra i meno abbienti, che raggiungono un livello di competenze tale da favorire l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita (il 26%) è di gran lunga inferiore alla media nazionale (45%), e circa tre volte inferiore a quella degli studenti che vivono in famiglie più abbienti».

6. Le differenze di genere

Il 25% delle minori di 15 anni non raggiunge le competenze minime in matematica, rispetto al 20% dei coetanei maschi. In lettura, invece, le posizioni si invertono. Il 24% degli alunni è low performer a fronte del 18% tra le femmine. Le ragazze, secondo i risultati dell’analisi condotta su campione di studenti che hanno eseguito i test Ocse – Pisa, hanno il 79% di probabilità in meno dei ragazzi di essere resilienti sia in matematica che lettura. «Se guardiamo al dato disaggregato per materia», spiegano gli autori del report, «la probabilità di essere resilienti, per le ragazze, è maggiore di quella dei coetanei maschi in lettura. Ma questo dato non riesce a sopperire alla minor probabilità di resilienza che riscontrano le ragazze in matematica ed evidenzia quanto le discriminazioni di genere siano radicate nella nostra cultura e nella società, che considera le ragazze come “naturalmente predisposte” alle discipline umanistiche e poco a quelle scientifiche».

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7. La resilienza negli stranieri di seconda generazione

Un dato estremamente interessante riportato da Save the Children riguarda il falso “handicap” della provenienza geografica. A parità di condizioni di svantaggio “di partenza”, dal punto di vista socio-economico, un minore nato in Italia da una famiglia straniera di “seconda generazione” ha le stesse possibilità di resilienza di un coetaneo con genitori italiani. Il vero gap semmai è generazionale: entrambi hanno infatti quasi il doppio di probabilità di essere resilienti rispetto ai minori migranti di prima generazione.

8. Le Regioni col maggior rischio di povertà educativa

Save the Children monitora quanto le Regioni favoriscano o meno lo sviluppo educativo dei minori, tramite l’”indice di povertà educativo”, dato sia dalla presenza di strutture quali asili, scuole con attività extra, servizi di mensa, sia dal numero di ragazzi impegnati in attività artistiche, sportive o che risultino anche semplicemente connessi a Internet. Sulla base di questa valutazione, le Regioni più povere sono anche le peggiori sul fronte dell’educazione: fanalini di coda Campania, Sicilia, Calabria, Puglia e Molise mentre, al lato opposto della classifica, troviamo Liguria, Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia.

9. Il problema dei servizi per la prima infanzia

Analizzando la deprivazione educativa nel dettaglio, risultano particolarmente allarmanti i dati relativi alla mancata copertura di servizi per la prima infanzia. In Calabria, la Regione con il tasso più basso di presa in carico, soltanto l’1,2% dei bambini tra 0 e 2 anni frequenta un nido o un servizio integrativo dell’infanzia pubblico o convenzionato. In Campania, la percentuale è del 2,6%, in Sicilia del 4,6%, in Puglia del 5,3%.«Siamo molto lontani», si legge nel rapporto, «dal target del 33% di copertura indicato dall’Unione europea, entro il 2020».