Michela, dall’infanzia senza famiglia al riscatto: «Ho imparato a volare»

Michela Vanzella a 15 anni, dopo la morte del padre, ha bussato alla porta dell’associazione Sos Villaggi dei Bambini a Vicenza.
A vent’anni, ora, dirige due panetterie con prodotti a chilometro zero. «Sogno un ristorante»

 

Michela_VicenzaDue valigie e il cuore pieno di angoscia. Michela si presenta così al portone dell’associazione Sos Villaggi dei Bambini a Vicenza: ha 15 anni, il papà è morto e lei non ce la fa più a fare da mamma a una mamma che sta vivendo un momento di fragilità. Non ce la fa e non è neppure giusto pretenderlo perché la sua richiesta di adolescente cresciuta troppo in fretta è legittima: «Ho bisogno di qualcuno che si prenda cura di me». Michela Vanzella oggi ha 20 anni e ricorda con tenerezza il giorno che le ha cambiato, e salvato, la vita. «La situazione con mia mamma era diventata troppo complicata, così andai dagli assistenti sociali a chiedere che mi trovassero un altro posto dove stare. Furono loro a indicarmi Sos Villaggi e lì mi sono presentata». Uno strappo non indolore: «Mi sentivo in colpa per aver lasciato la mamma da sola, ero preoccupata per lei. Volevo già tornarmene a casa». Una delle responsabili del centro la rassicura: «Oggi è venerdì, prenditi questo fine settimana per pensare. La nostra porta è sempre aperta e puoi andartene quando vuoi».

A vent’anni dirige due panetterie. «Ora sogno di aprire un ristorante»
È un episodio banale quello che, in quel week end, fa maturare la scelta definitiva: con Anna e Serena, due operatrici, va a fare un giro in centro a Vicenza. Passa da una bancarella che cuoce frittelle e Michela ne vorrebbe una: fino a quel giorno non ha mai potuto permetterselo, da sola perché toccava a lei cercare di far bastare i pochi soldi che c’erano in casa per le necessità più impellenti. Anna e Serena capiscono al volo cosa sta pensando la ragazzina e la rassicurano : «Prendi quello che ti piace, ci pensiamo noi». Michela riflette oggi: «Non avevo bisogno di quella frittella in realtà, ma di qualcuno che mi chiedesse come stavo quando ero giù, che mi sgridasse se non facevo i compiti, che mi comprasse un uovo di Pasqua o un regalo a Natale». La vita nel Villaggio Sos comincia il lunedì successivo, in una situazione di semi-autonomia: per Anna c’è un appartamento dove dorme, mentre negli spazi collettivi mangia e studia. «Non volevo più andare a scuola, perché mi vergognavo con i miei coetanei della mia situazione. Però sapevo che un diploma mi sarebbe servito». Michela viene aiutata anche a recuperare le materie, in quel contesto più sereno ritrova voglia di fare e mette tutto il suo impegno: ad agosto supera gli esami all’alberghiero, l’anno dopo arriva il diploma di terzo livello, e poi si iscrive al quarto anno. Nel frattempo fa due stage di lavoro e viene inserita nel progetto Pane quotidiano con il forno che funziona all’interno del Villaggio. Si appassiona, quasi che impastare le farine sia un po’ come dare forma a una vita nuova: «Volevo riscattarmi dalla mia infanzia così difficile, volevo dimostrare a me stessa che avrei potuto costruirmi un futuro con le mie forze».

Alla fine del quarto anno la direttrice del Villaggio le propone di diventare responsabile del forno e comincia così una pagina nuova. Da giugno dello scorso anno Michela ha una casa in affitto e a ottobre ha aperto una seconda rivendita di pane fuori dal Villaggio che funziona benissimo «Usiamo il lievito madre, farine macinate a pietra, farine biologiche e abbiamo una linea di pane a chilometro zero con prodotti del territorio». In attesa di realizzare un altro sogno («Vorrei aprire un locale mio»), sul braccio Michela ha tatuato un aquilone: un disegno che ha scelto con le «zie», mentre i bambini del Villaggio hanno pensato ai colori. Un simbolo di libertà: «Il mio aquilone non vuole dire scappare via, ma poter volare perché sai che hai una casa e una famiglia».

Fonte: milano.corriere.it